Vale la pena leggere questo capitolo su Charles Fort, estratto da "Il mattino dei maghi", famoso libro sul misterioso ed il fantastico, uscito nel 1963, in cui Powels e Bergier, gli autori, presentano una colorita rassegna di personaggi e fatti che sarebbe troppo lungo elencare.....
[wikipedia] "Il mattino dei maghi" è una raccolta di saggi di Louis Pauwels e Jacques Bergier. I due autori mescolano molto liberamente esoterismo (Pauwels fu discepolo di G. I. Gurdjieff), scienza e altre discipline per arrivare a scrivere una specie di trattato di storia alternativa dove le correnti esoteriche viaggiano da secoli in maniera sotterranea rispetto alla storia ufficiale. I due autori lanciarono in particolare il filone del Nazismo mistico come chiave di lettura dell'intero fenomeno hitleriano. Il fenomeno fu poi indagato (con maggiore rigore storico) da autori quali Giorgio Galli.
Credo che sia interessante sapere di questo sig. Fort. Qui si offre un punto di partenza per una visione alternativa e molto attuale sulla realtà, questa realtà molto più misteriosa di quanto i mezzi di distrazione di massa vogliono farci credere.
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Dove gli autori fanno il ritratto dello stravagante e meraviglioso signor Fort. L’incendio del sanatorio delle coincidenze esagerate. II signor Fort in preda alla conoscenza universale. Quarantamila annotazioni sulle tempeste di pervinche, le piogge di rane e i temporali di sangue. Il Libro dei Dannati. Un certo professar Kreyssler. Elogio e illustrazione dell’intermediarismo. L’eremita del Bronx o il Rabelais cosmico. Dove gli autori visitano la cattedrale Sant’Altrove. Buon appetito, signor Fort!
C’era a New York, nel 1910, in un piccolo appartamento borghese di Bronx, un brav’uomo né giovane né vecchio, che assomigliava ad una foca timida. Si chiamava Charles Hoy Fort. Aveva mani rotonde e grasse, pancia e fianchi ma non collo, un grosso cranio semispennato, naso largo asiatico, occhiali di ferro e baffi alla Gurdjiev. Lo si sarebbe magari detto un professore menscevico. Non usciva mai se non per recarsi alla Biblioteca Municipale dove consultava una gran quantità di giornali, riviste e annali di tutti gli Stati e di tutte le epoche. Nel suo studio a forma di cilindro erano ammucchiate scatole da scarpe, vuote, e pile di periodici: 1’”American Almanach” del 1833, il “London Times”, annate1 1880-93, l’”Annual Record of Science”, venti annate del “Philosophical Magazine”, “Les Annales de la Société Entomologique de France”, la “Monthly Weather Review”, l’”Observatory”, il “Meteorological Journal”, ecc. Portava una visiera verde, e, quando sua moglie accendeva il fornello per la colazione, andava a vedere in cucina se non ri-schiava di provocare un incendio. Era la sola cosa che irritasse la signora Fort, nata Anna Filan, che egli aveva sposato per la sua assoluta mancanza di curiosità intellettuale, che amava molto e da cui era teneramente amato.
Fino a trentaquattro anni Charles Fort, figlio di droghieri di Albany, aveva vivacchiato grazie ad un mediocre talento di giornalista e ad una certa abilità nell’imbalsamare farfalle. Morti i genitori e venduta la drogheria, si era assicurato piccole rendite che gli permettevano finalmente di abbandonarsi esclusivamente alla sua passione: accumulare appunti su fatti inverosimili e tuttavia accertati.
Pioggia rossa su Blankenberg, il 2 novembre 1819, pioggia di fango in Tasmania, il 14 novembre 1902. Fiocchi di neve grandi come sottocoppe a Nashville, il 24 gennaio 1891. Pioggia di rane a Birmingham il 30 giugno 1892. Aeroliti. Sfere di fuoco. Impronte di un animale favoloso nel Devonshire. Dischi volanti. Impronte di ventose su montagne. Macchine nel ciclo. Capricci di comete. Strane sparizioni. Cataclismi inspiegabili. Iscrizioni su meteoriti. Neve nera. Lune blu. Soli verdi. Temporali di sangue.
Accumulò cosi venticinquemila annotazioni ordinate in scatole di cartone. Fatti che appena menzionati erano ricaduti nella botola dell’indifferenza. Fatti, tuttavia. Egli chiamava la sua raccolta “sanatorio delle coincidenze esagerate”. Fatti di cui ci si rifiutava di parlare. Egli sentiva salire dai suoi schedari “un vero clamore di silenzio”. Aveva concepito una specie di tenerezza per quelle realtà incongruenti, scacciate dal campo della conoscenza, e a cui egli dava asilo nel suo povero studio di Bronx e che accarezzava schedandole. “Puttanelle, nani, gobbi, buffoni, e tuttavia la loro sfilata in casa mia avrà l’impressionante solidità delle cose che passano, e passano, e non smettono di passare.”
Quando era stanco di fare la processione dei dati che la scienza ha creduto bene escludere (un iceberg volante si abbatte a pezzi su Rouen il 5 luglio 1853. Caravelle di viaggiatori celesti. Esseri alati a ottomila metri nel ciclo di Palermo il 30 novembre 1880. Ruote luminose nel mare. Piogge di zolfo, di carne. Resti di giganti in Scozia. Bare di piccoli esseri venuti da altrove fra le rocce di Edimburgo)... quando era stanco si riposava giocando da solo interminabili partite di super-scacchi, su una scacchiera di sua invenzione che aveva milleseicento caselle.
Poi, un giorno, Charles Hoy Fort si accorse che quella formidabile fatica non era assolutamente nulla. Inutilizzabile. Dubbia. Semplice occupazione di un maniaco. Intravide che non aveva fatto altro che segnare il passo sulla soglia di ciò che oscuramente cercava, che non aveva fatto nulla di ciò che realmente c’era da fare. Quella non era ricerca ma la sua caricatura. E lui che temeva tanto i rischi di un incendio gettò scatole e schede nel fuoco.
Aveva scoperto la sua vera natura. Quel maniaco dei casi particolari era un fanatico delle idee generali. Che cosa aveva inconsciamente cominciato a fare nel corso di quegli anni semisprecati? Raggomitolato in fondo alla sua grotta per farfalle e vecchie carte, egli si era in verità attaccato ad una delle grandi forze del secolo: la certezza che gli uomini civili hanno di sapere tutto sull’Universo in cui vivono. E perché si era nascosto, come se si vergognasse, il signor Charles Hoy Fort? Perché la minima allusione al fatto che possano esistere nell’Universo immensi campi dell’Ignoto turba sgradevolmente gli uomini. Il signor Charles Hoy Fort, tutto sommato, si era comportato come un erotomane: conserviamo segreti i nostri vizi, affinché la società non si infuri, sapendo che lascia incolta la maggior parte delle terre della sessualità. Si trattava, ora, di passare dalla mania alla profezia, dal piacere solitario alla dichiarazione di principio. Si trattava ormai di fare opera vera, cioè rivoluzionaria.
La conoscenza scientifica non è oggettiva. Come la civiltà essa è una congiura. Si respinge una quantità di fatti perché disturberebbero i ragionamenti prestabiliti. Viviamo in un regime di inquisizione in cui l’arma più frequentemente impiegata contro la realtà non conformista è il disprezzo accompagnato dallo scherno. In tali condizioni, che cos’è la conoscenza? “Nella topografia dell’intelligenza, si potrebbe” dice Fort “definire la conoscenza come l’ignoranza circondata dal riso.” Si dovrà dunque esigere un’aggiunta alle libertà che la costituzione garantisce: la libertà di dubitare della scienza. Libertà di dubitare dell’evoluzione- ( e se l’opera di Darwin fosse una finzione? ), della rotazione della Terra, dell’esistenza della velocità della luce, della gravitazione, ecc. Di tutto, salvo che dei fatti. Dei fatti non scelti, così come si presentano, nobili o no, bastardi o puri, coi loro cortei di bizzarrie e le loro concomitanze o incongrue. Non respingere nulla del reale: una scienza futura scoprirà relazioni sconosciute tra i fatti che ci sembrano senza rapporto. La scienza ha bisogno di essere scossa da uno spirito avido, benché non credulo, nuovo, selvaggio. Il mondo ha bisogno di un’enciclopedia di fatti esclusi, di realtà condannate. Temo proprio che si debba dare alla nostra civiltà mondi nuovi in cui le rane bianche avranno diritto di vivere.”
In otto anni la foca timida di Bronx si preparò ad imparare tutte le arti e tutte le scienze, e a inventarne una mezza dozzina per conto suo. Preso dal delirio enciclopedico, si accanisce in quel lavoro gigantesco che consiste non tanto nell’imparare quanto nell’acquistare coscienza della totalità del vivente. “Mi meravigliavo che ognuno potesse accontentarsi di essere romanziere, sarto, industriale o spazzino.”
“Un vigile notturno sorveglia una mezza dozzina di lanterne rosse in una via sbarrata. Ci sono lampioni a gas, lam-padari e finestre illuminate nel quartiere. Si sfregano fiammi-feri, si accendono semafori, un incendio è scoppiato, ci sono insegne al neon e fari di automobili. Ma il vigile notturno si limita al suo piccolo sistema...”
Nello stesso tempo riprende le sue ricerche sui fatti respinti, ma sistematicamente e sforzandosi di verificarli uno per uno con informazioni attinte a fonti diverse. Sottopone la propria impresa ad un piano che abbraccia l’astronomia, la sociologia, la psicologia, la morfologia, la chimica, il magnetismo. Non fa più una collezione: tenta di fare il disegno della rosa dei venti esterni, di fabbricare la bussola per la navigazione sugli oceani dell’altro lato, di ricostruire il puzzle dei mondi nascosti dietro questo mondo. Gli occorre ogni foglia che freme sull’albero immenso del fantastico: urli attraversano il ciclo di Napoli il 22 novembre 1821 ; pesci cadono dalle nuvole su Singapore nel 1861; in Indre-et-Loire, un 10 aprile, una cascata di foglie morte; col fulmine, asce di pietra si abbattono su Sumatra; precipitazioni di materia vivente; Tamerlani dello spazio compiono rapimenti; relitti di mondi vaganti circolano sopra di noi... “Io sono intelligente e cosi sono in forte contrasto con gli ortodossi. Poiché non ho l’aristocratico disdegno di un conservatore newyorchese o di uno stregone esquimese, devo pur sforzarmi di concepire altri mondi...”
La signora Fort non s’interessa assolutamente di tutto questo. Anzi è cosi indifferente che non si accorge della stravaganza. Egli non parla dei suoi studi, o soltanto a pochi amici sbalorditi. Non ci tiene a vederli, scrive loro di quando in quando. “Ho l’impressione di abbandonarmi ad un vizio nuovo, raccomandato ai collezionisti di peccati inediti. All’inizio alcuni dei miei dati erano così terribili o ridicoli che, solo a leggerli, venivano detestati o disprezzati. Ora va meglio; c’è un po’ di posto per la pietà.”
I suoi occhi si stancano. Sta per diventare cieco. Interrompe e medita parecchi mesi nutrendosi soltanto di pane integrale e di formaggio. Rinfrancata la vista, comincia ad esporre la sua personale visione dell’universo, antidogmatica, e ad aprire l’altrui comprensione a gran colpi di umorismo: “Qualche volta sorprendevo me stesso a non pensare ciò che preferivo credere”.
Progredendo nello studio delle diverse scienze aveva altrettanto progredito nella scoperta delle loro insufficienze. Bisogna demolirle alla base: è il criterio che non è buono. Bisogna ricominciare tutto rintroducendo i fatti esclusi, su cui egli accumulò una documentazione ciclopica. Prima di tutto rintrodurli. Poi, se possibile, spiegarli. “Io non credo di fare un idolo dell’assurdo. Io penso che nei primi tentativi, non c’è mezzo di sapere che cosa in seguito sarà accettabile. Se uno dei pionieri della zoologia (che è da rifare) sentisse parlare di uccelli che spuntano sugli alberi, dovrebbe segnalare che ha sentito parlare di uccelli che spuntano sugli alberi. Poi dovrebbe occuparsi, ma soltanto allora, di passare al vaglio i dati di questo fatto.
Segnaliamo, segnaliamo, segnaliamo, un giorno finiremo per scoprire che qualche cosa ci ha fatto segno".
Bisogna rivedere le strutture stesse della conoscenza. Charles Hoy Fort sente fremere in sé numerose teorie che hanno, tutte, le ali dell’angelo del bizzarro. Vede la scienza come un’automobile molto perfezionata lanciata su un’autostrada. Ma, ai lati di quella meravigliosa pista di asfalto e neon, si estende un paese selvaggio, pieno di prodigi e di misteri. Stop. Guardate anche il paese in ampiezza. Deviate! Fate zig-zag! Bisogna dunque fare grandi gesti disordinati, clowneschi, come si fa per tentare di fermare un’automobile. Poco importa il rischio di passare per grottesco: è urgente. Il signor Charles Hoy Fort, eremita di Bronx, ritiene di dover compiere, il più presto e il più fortemente possibile, un certo numero di “buffonate” assolutamente necessarie. Convinto dell’importanza della propria missione e liberatosi della sua documentazione, comincia a raccogliere in trecento pagine i suoi migliori esplosivi. “Consumatemi il tronco di una sequoia, sfogliatemi pagine di scogliere di gesso, moltiplicatemi per mille e sostituite alla mia immodestia futile una megalomania da Titano, allora soltanto potrò scrivere con l’ampiezza che il mio argomento richiede da me.”
Compone la sua prima opera, II Libro dei Dannati, in cui, egli dice, è proposto “un certo numero di esperienze in materia di struttura della conoscenza”. Quest’opera apparve a New York nel 1919 e produsse una rivoluzione negli ambienti intellettuali. Prima delle prime manifestazioni del dadaismo e del surrealismo, Charles Fort introduceva nella scienza ciò che Tzara, Breton e i loro discepoli avrebbero introdotto nelle arti e nella letteratura: il rifiuto fiammeggiante di giocare ad un gioco in cui tutti barano, la violenta affermazione “che c’è altro”. Un enorme sforzo, non forse per pensare il reale nella sua totalità, ma per impedire che il reale sia pensato in modo falsamente coerente. Una rottura essenziale.
“Io sono un tafano che irrita il cuoio della conoscenza per impedirle di dormire.”
Il Libro dei Dannati? “Un ramo d’oro per i matti” dichiarò John Winterich. “Una delle mostruosità della letteratura” scrisse Edmund Pearson. Per Ben Hecht “Charles Fort è l’apostolo della eccezione e il prete mistificatore dell’improbabile”. Martin Gardner, tuttavia, riconosce che “i suoi sarcasmi sono in armonia con le critiche più valide di Einstein e di Russel”. John W. Campbell assicura “che vi sono in quest’opera i germi di almeno sei scienze nuove”. “Leggere Charles Fort è cavalcare una cometa” dichiara Maynard Shipley, e Teodore Dreiser vede in lui “la più grande personalità di scrittore dopo Edgar Poe”.
Solo nel 1955 il Libro dei Dannati fu pubblicato in Francia, a cura mia e indubbiamente senza sufficiente diligenza. Nonostante l’eccellente traduzione e presentazione di Robert Benayoun, e un messaggio di Tiffany Thayer, presidente negli Stati Uniti della Società degli Amici di Charles Fort,! quest’opera straordinaria passò quasi inosservata. Ci consolammo, Bergier e io, di questo insuccesso di uno dei nostri più cari maestri, immaginandolo mentre si gode, dal fondo del super-mare dei Sargassi celesti, dove indubbiamente risiede, questo clamore di silenzio che sale verso di lui dalla patria di Descartes.
1 Ed. des Deux-Rives, Parigi, Collezione “Lumière Interdite” diretta da Louis Pauwels. Dopo 11 Libro dei Dannati, Fort pubblicò, nel 1923, Terre nuove. Apparvero dopo la sua morte: Lo! nel 1931 e Talenti selvaggi nel 1932. Queste opere hanno una certa notorietà in America, in Inghilterra e in Australia.
Io attingo molte notizie dallo studio di Robert Benayoun. II signor Tiffany Thayer dichiara tra l’altro: “Le doti di Charles Fort affascinarono un gruppo di scrittori americani che decisero di continuare, in suo onore, l’attacco che egli aveva sferrato contro gli onnipotenti sacerdoti del nuovo dio: la Scienza, e contro tutte le forme di dogma. Con questo intento fu fondata la Società Charles Fort, il 26 gennaio 1931. “Fra i suoi fondatori erano Theodore Dreiser, Booth Tarkington, Ben Hecht, Harry Leon Wilson, John Cowper Powys, Alexander Woollcott, Burton Rascoe, Aaron Sussman, e il segretario sottoscritto, Tiffany Thayer.“
Charles Fort morì nel 1932, alla vigilia della pubblicazione della sua quarta opera, Talenti selvaggi. Le innumerevoli annotazioni che egli aveva raccolto nelle biblioteche di tutto il mondo usufruendo di una corrispondenza internazionale, furono lasciate alla Società Charles Fort: esse costituiscono oggi il nucleo degli archivi di questa società che si arricchiscono ogni giorno grazie al contributo dei membri di quarantanove paesi, senza contare gli Stati Uniti, l’Alaska e le isole Hawaii.
La Società pubblica una rivista trimestrale ‘Doubt’ (II Dubbio). Questa rivista è anche una specie di camera di compensazione per tutti i fatti ‘maledetti’, cioè quelli che la scienza ortodossa non può o non vuole accettare: per esempio, i dischi volanti. In effetti, le informazioni e le statistiche che la Società possiede su questo argomento costituiscono la raccolta più vecchia, pili vasta e completa che esista. La rivista ‘Doubt’ pubblica anche le annotazioni di Fort.
Il nostro ex imbalsamatore di farfalle aveva orrore del fissato, del classificato, del definito. La scienza isola i fenomeni e le cose per osservarli. La grande idea di Charles Fort è che niente è isolabile. Ogni cosa isolata cessa di esistere. Un macaone succhia una violacciocca: è una farfalla più nettare di violacciocca; è una violacciocca meno l'appetito di una farfalla. Ogni definizione di una cosa in sé è un attentato contro la realtà.
"Fra le tribù cosidette selvagge i semplici di spirito sono oggetto di cure rispettose. Generalmente la definizione di una cosa in sé è riconosciuta come un segno di debolezza mentale. Tutti gli scienziati cominciano i loro studi con questo genere di definizione, e fra le nostre tribù gli scienziati sono oggetto di cure rispettose."
Ecco Charles Hoy Fort, collezionista dell'insolito, scriba di miracoli, impegnato in una formidabile riflessione Sulla riflessione. Perché è la struttura mentale dell'uomo civile che egli attacca. Non è più affatto d'accordo col motore a due tempi che alimenta il ragionamento moderno. Due tempi: il sì e il no, il positivo e il negativo. La conoscenza e l'intelligenza moderne si basano su questo funzionamento binario: giusto, falso; aperto, chiuso; vivo, morto; liquido, solido, ecc. Ciò che Fort esige contro Descartes è un punto di vista sul generale, partendo dal quale il particolare possa essere definito nei suoi rapporti con esso; partendo dal quale ogni cosa sia percepita come intermedia di un'altra cosa. Ciò che esige è una nuova struttura mentale capace di percepire come reali gli stati intermedi tra il sì e il no, il positivo e il negativo. Cioè un ragionamento che superi quello binario. Un terzo occhio dell'intelligenza, in certo senso. Per esprimere la visione di questo terzo occhio, il linguaggio, che è un prodotto del binario (una congiura, una limitazione organizzata), non è sufficiente. Occorre dunque a Fort utilizzare aggettivi bifronti, epiteti-Giano: "reale-irreale", "immateriale-materiale", "solubile-insolubile".
Un nostro amico, un giorno in cui Bergier e io eravamo a pranzo da lui, aveva inventato di sana pianta un grave professore austriaco, figlio di un albergatore di Magdeburgo all'insegna Dei Due Emisferi, di nome Kreyssler. Herr professor Kreyssler, su cui ci intrattenne a lungo, aveva dedicato un'opera gigantesca alla rifusione del linguaggio occidentale. Il nostro amico progettava di pubblicare su una rivista seria uno studio su "II verbalismo di Kreyssler" e sarebbe stata una mistificazione utilissima. Dunque, Kreyssler aveva tentato di sciogliere il corsetto del linguaggio affinchè potesse gonfiarsi finalmente degli stati intermedi trascurati nella nostra attuale struttura mentale.
Facciamo un esempio: il ritardo e l'anticipo. Come definirò il ritardo sull'anticipo che pensavo di prendere? Non esiste il termine. Kreyssler proponeva: Vatardo. E l'anticipo sul ritardo che avevo? Il rinticipo. Fin qui si tratta di "interme-dietà" del tempo.
Inoltriamoci negli stati psicologici. L'amore e l'odio. Se io amo senza generosità, non amando che me attraverso l'altro, così avviato verso l'odio, è amore? Non è che amodio. Se io odio il mio nemico, tuttavia non spezzando il filo che tiene uniti tutti gli esseri, facendo il mio dovere di nemico ma conciliando odio e amore, non è odio, è l'ore.
Passiamo alle intermedietà fondamentali. Che cosa è morire e che cosa è vivere? Tanti stati intermedi che noi rifiutiamo di vedere! C'è il movivere, che non è vivere, che è soltanto impedirsi di morire. E c'è il vivere veramente, a dispetto del dover morire, che è il vìrìre.
Considerate infine gli stati della coscienza. Come la nostra coscienza ondeggia tra dormire e vegliare. Quante volte la mia coscienza non fa che vomire: credere che essa vegli quando si abbandona al sonno! Dio voglia che, sapendosi così incline a dormire, essa tenti di vegliare, che è il dorigliare.
Il nostro amico aveva da poco letto Fort quando ci presentò questo geniale scherzo. "In termini di metafisica" dice Fort "io penso che tutto ciò che comunemente si chiama 'esistenza' e che io chiamo intermedietà, è una quasi-e-sistenza, né reale né irreale, ma espressione di un tentativo che tende al reale o alla penetrazione di un'esistenza reale." Questa iniziativa è senza precedenti nei tempi moderni. Essa annuncia il grande mutamento di struttura dello spirito che le scoperte di certe realtà fisico-matematiche attualmente esigono. Al livello della particella, per esempio, il tempo circola contemporaneamente nei due sensi. Alcune equazioni sono nel medesimo tempo vere e false. La luce è contemporaneamente continua e spezzata.
"Ciò che si chiama Essere è il movimento: ogni movimento non è l'espressione di un equilibrio, ma di un tentativo di mettere in equilibrio o di equilibrio non raggiunto. E il semplice fatto di essere si manifesta nella interme-dietà tra equilibrio e squilibrio."
Questo data dal 1919 e s'incontra con le riflessioni contemporanee di un fisico biologo come Jacques Ménétrier sull'inversione dell'entropia. "Tutti i fenomeni, nel nostro stato intermedio o qua-si-stato, rappresentano un tentativo verso l'organizzazione, l'armonizzazione, l'individualizzazione, cioè un tentativo di raggiungere la realtà. Ma ogni tentativo è messo in scacco dalla continuità, o dalle forze esterne, dai fatti esclusi, contigui degli inclusi."
Questa è una anticipazione su una delle operazioni più astratte della fisica quantistica: la normalizzazione delle funzioni, operazione che consiste nello stabilire la funzione che rappresenta un oggetto fisico in modo tale che ci sia una possibilità di ritrovare questo oggetto nell'universo intero.
"Io concepisco tutte le cose come occupanti dei gradi, delle tappe di serie tra la realtà e l'irrealtà."
Perciò poco importa a Fort di impadronirsi di questo o di quel fatto per incominciare a rappresentare la totalità. E perché scegliere un fatto che lascia tranquilla la ragione, piuttosto che un fatto inquietante? Perché escludere? Per misurare un cerchio si può cominciare da qualsiasi punto.
Egli segnala, per esempio, l'esistenza di oggetti volanti. Ecco un insieme di fatti partendo dai quali si può cominciare ad afferrare la totalità. Ma, dice subito, "una tempesta di pervinche servirebbe altrettanto allo scopo".
"Io non sono un realista. Non sono un idealista. Sono un intermediarista."
Come farsi capire se si attacca la radice della comprensione, la base stessa dello spirito? Per mezzo di una apparente eccentricità che è il linguaggio di urto del genio veramente centralista: egli va a cercare le sue immagini tanto più lontano quanto più è sicuro di ricondur-le al punto fisso e profondo della sua meditazione. In una certa misura, il nostro compare Charles Hoy Fort procede alla maniera di Rabelais. Fa fracasso con l'umorismo e con le immagini per risvegliare i morti.
"Io raccolgo annotazioni su tutti gli argomenti dotati di qualche diversità, come le deviazioni dalla concentricità nel cratere lunare Copernico, l'apparizione improvvisa di britannici di color rosso porpora, le meteore stazionarie, o la nascita improvvisa di capelli sulla testa calva di una mummia. Tuttavia il mio maggiore interesse non si rivolge ai fatti, ma ai rapporti tra i fatti. Io ho a lungo meditato sui sedicenti rapporti che si chiamano coincidenze. E se non ci fossero coincidenze? "
"Nei tempi passati, quando ero un ragazzaccio particolarmente cattivo, mi si condannava a lavorare il sabato nella bottega paterna, dove dovevo staccare le etichette delle scatole di conserve concorrenti e incollare quelle dei miei genitori. Un giorno in cui avevo una vera e propria piramide di conserve di frutta e di legumi, non mi restavano più che etichette di pesche. Le incollai sulle scatole di pesche; quando arrivai alle albicocche, pensai: le albicocche non sono forse pesche? E certe prugne non sono albicocche? Detto fatto, mi misi spiritosamente o scientificamente a incollare etichette di pesche sulle scatole di prugne, di ciliege, di fagiolini e di piselli. Per quale motivo lo facevo? Non lo so ancora, non avendo ancora stabilito se ero uno scienziato o un umorista."
"Appare una nuova stella: fino a che punto differisce da certe gocce di origine ignota che sono state notate su una pianta di cotone dell'Oklahoma?"
"Ho in questo momento un esemplare di farfalla particolarmente rumorosa: una sfinge-testa-di-morto. Squittisce come un topolino e il suono mi sembra vocale. Si dice della farfalla Kalima, che somiglia a una foglia morta, che imita la foglia morta. Ma la sfinge-testa-di-morto imita le ossa? "
"Se non ci sono positive differenze, non è possibile definire qualcosa come positivamente diverso da un'altra cosa. Che cosa è una casa? Un fienile è una casa, a condizione che ci si viva. Ma se la residenza costituisce l'essenza di una casa, piuttosto che lo stile architettonico, allora un nido di uccelli è una casa. Non serve di criterio il fatto che la occupi l'uomo, dato che i cani hanno la loro casa, né il materiale di cui è fatta, dato che gli èsquimesi hanno case di neve. E due cose così positivamente diverse come la Casa Bianca di Washington e il guscio di un granchio solitario si rivelano contigue."
"Isole di corallo bianco in un mare blu scuro.
"La loro apparente differenza, la loro apparente individualità o la differenza positiva che le separa, non sono che proiezione dello stesso fondo oceanico. La differenza tra terra e mare non è positiva. In ogni acqua c'è un po' di terra, in ogni terra c'è acqua. Cosicché tutte le apparenze sono ingannevoli poiché fanno parte di uno stesso spettro. Il piede di un tavolo non ha nulla di positivo, non è che la proiezione di qualche cosa. E nessuno di noi è una persona poiché fisicamente noi siamo contigui di ciò che ci circonda, poiché psichicamente non ci giunge altro che l'espressione dei nostri rapporti con tutto ciò che ci circonda.
"La mia posizione è la seguente: tutte le cose che sembrano avere un'identità individuale non sono che isole, proiezioni di un continente sottomarino e non hanno contorni reali."
"Definirei bellezza ciò che sembra completo. L'incompleto o il mutilo è totalmente brutto. La Venere di Milo. Un bambino la troverebbe brutta. Se uno spirito puro l'immagina completa, diventerà bella. Una mano concepita in quanto mano può sembrare bella. Abbandonata su un campo di battaglia, non lo è più. Ma tutto ciò che ci circonda è una parte di qualche cosa, che è a sua volta parte di un'altra: in questo mondo non c'è niente di bello, solo le apparenze sono intermedie tra la bellezza e la bruttezza. Solo l'universalità è completa, solo il completo è bello."
Il pensiero profondo del nostro maestro Fort è dunque l'unità che è sotto tutte le cose e sotto tutti i fenomeni. Ora, il pensiero colto del secolo XIX al suo termine pone dappertutto parentesi, e il nostro modo di ragionare, binario, non vede che la dualità. Ecco il folle-saggio di Bronx in rivolta contro la scienza esclusionista del suo tempo, e anche contro la struttura stessa della nostra intelligenza. Gli sembra necessaria un'altra forma d'intelligenza: un'intelligenza in certo modo mistica, sveglia alla presenza della totalità. Su questa base, egli suggerirà altri metodi di conoscenza. Per prepararci, procede con strappo, rotture delle nostre abitudini di pensare:
"Io vi manderò a cadere contro le porte che aprono su altro".
Tuttavia il signor Fort non è un idealista. Egli milita contro il nostro scarso realismo: noi rifiutiamo il reale quando è fantastico. Il signor Fort non predica una nuova religione. Al contrario, egli si affretta ad alzare una barriera intorno alla sua dottrina per impedire agli spiriti deboli di entrare. Egli è convinto che "tutto sia in tutto", che l'universo sia contenuto in un granello di sabbia. Ma questa certezza metafisica non può brillare che al più alto livello della riflessione. Essa non potrebbe discendere al livello dell'occultismo elementare senza diventare ridicola. Essa non potrebbe permettere i deliri del pensiero analogico, così caro agli esoteristi equivoci, che spiegano incessantemente una cosa per mezzo dì un'altra cosa: la Bibbia coi numeri, l'ultima guerra con la Grande Piramide, la Rivoluzione coi tarocchi, il mio avvenire con gli astri, e che dappertutto vedono i segni di tutto.
"Probabilmente c'è un rapporto tra una rosa e un ippopotamo, tuttavia ad un giovane non verrà mai in mente di offrire alla fidanzata un mazzo di ippopotami."
Mark Twain, denunciando Io stesso vizio di pensiero, diceva spiritosamente che si può spiegare La canzone di Primavera con le Tavole della Legge poiché Mosè e Mendelssohn sono lo stesso nome: basta sostituire a osé: endelssohn. E Charles Fort torna alla carica con questo scherzo:
"Si può identificare un elefante ed un girasole: tutti e due hanno un lungo gambo. Non si può distinguere un cammello da un'arachide se non si considerano che le gobbe".
Tale è il brav'uomo, di solido e gaio sapere. Vediamo ora il suo pensiero assumere ampiezza cosmica.
E se la Terra stessa non fosse reale in quanto tale? Se essa non fosse che qualche cosa di intermedio nel cosmo?
Forse la Terra non è affatto indipendente, e la vita su di essa forse non è affatto indipendente da altre vite, da altre esistenze negli spazi...
Quarantamila annotazioni sulle piogge di ogni genere che si sono abbattute quaggiù, da tempo hanno indotto Charles Fort ad ammettere l'ipotesi che la maggior parte di esse non sia di origine terrestre.
"Propongo che si prenda in considerazione l'idea che di là dal nostro mondo ci sono altri continenti da cui cadono oggetti, proprio come dall'America giungono in Europa relitti alla deriva."
Diciamolo immediatamente: Fort non è un ingenuo. Non crede a tutto. Soltanto insorge contro l'abitudine di negare a priori. Egli non indica col dito verità: da pugni per demolire l'edificio scientifico del suo tempo, costituito da verità cosi parziali che somigliano a errori. Ride? È perché non vede per qual motivo lo sforzo umano verso la conoscenza non dovrebbe talvolta essere attraversato dal riso, che è anch'esso umano. Inventa? Sogna? Generalizza? Rabelais cosmico? Ne conviene. "Questo libro è una favola, come I Viaggi di Gulliver, l'Origine delle specie e, del resto, la Bibbia."
"Piogge e nevi nere, fiocchi di neve nera come giaietto. Scorie da fonderia cadono dal cielo nel mare della Scozia. Le si ritrovano in cosi grande quantità che il prodotto avrebbe potuto rappresentare la resa globale di tutte le fonderie del mondo. Penso ad un'isola vicino alla rotta commerciale transoceanica. Essa potrebbe ricevere molte volte l'anno detriti provenienti dalle navi di passaggio." Perché non relitti o scorie di navi interstellari?
Piogge di sostanza vivente, di materia gelatinosa, accompagnate da un forte odore di putrefazione. "Si ammetterà che negli spazi infiniti navigano vaste regioni vischiose e gelatinose?". Si tratterebbe di carichi alimentari depositati nel cielo dai Grandi Viaggiatori di altri mondi? "Ho l'impressione che sopra le nostre teste una regione statica, in cui le forze di gravita e meteorologiche terrestri sono relativamente inerti, riceva dall'esterno prodotti analoghi ai nostri."
Piogge di animali vivi: pesci, rane, tartarughe. Venuti da altrove? In questo caso anche gli esseri umani in un'epoca remota possono essere venuti da altrove... A meno che non si trattasse di animali strappati alla terra da uragani, trombe d'aria, e deposti in una regione dello spazio dove non agisce la legge di gravita, una specie di frigorifero in cui i prodotti di quei rapimenti si conservano indefinitamente. Tolti alla terra e, oltrepassata la parte che da su altrove, ammassati in un super-mare dei Sargassi del cielo.
"Gli oggetti sollevati dagli uragani possono essere entrati in una zona di sospensione situata sopra la Terra, galleggiare lungo tempo l'uno accanto all'altro, infine cadere..."
"Voi avete i dati di fatto, fatene quello che vi piacerà..."
"Dove vanno le trombe d'aria, di che cosa sono fatte?..."
"Un super-mare dei Sargassi: relitti, detriti, vecchi carichi di naufragi interplanetari, oggetti gettati in quello che si chiama spazio dalle convulsioni dei pianeti vicini, resti del tempo degli Alessandri, dei Cesari e dei Napoleoni di Marte, di Giove e di Nettuno. Oggetti sollevati dai nostri cicloni: greggi e cavalli, elefanti, mosche, pterodattili e moas, foglie di alberi recenti o dell'epoca carbonifera, il tutto tendente a dissolversi in poltiglie o in polveri omogenee, rosse, nere o gialle, tesori per paleontologi o archeologi, accumulazioni secolari, possenti uragani dell'Egitto, della Grecia, dell'Assiria..."
"Cadono pietre col fulmine. I contadini hanno creduto alle meteoriti, la scienza ha escluso le meteoriti. I contadini credono alle pietre di fulmine, la scienza esclude le pietre di fulmine. È inutile sottolineare che i contadini percorrono la campagna mentre gli scienziati si chiudono nei loro laboratori e nelle loro sale per conferenze."
Pietre di fulmine tagliate. Pietre piene di impronte, di segni. E se altri mondi tentassero così e in altri modi di comunicare con noi, o almeno con alcuni di noi?
"Con una setta, forse una società segreta, o certi abitanti molto esoterici di questa Terra?"
Ci sono migliaia e migliaia di testimonianze su questi tentativi di comunicazione. "La mia lunga esperienza della soppressione e dell'indifferenza mi fa pensare, prima ancora di entrare in argomento, che gli astronomi hanno visto quei mondi, che i meteorologi, gli scienziati, gli osservatori specializzati li hanno scorti varie volte. Ma il Sistema ne ha escluso tutti i dati."
Ricordiamo ancora una volta che egli scriveva questo intorno al 1910. Oggi russi e americani costruiscono laboratori per lo studio dei messaggi che potrebbero esserci inviati da altri mondi.
E, forse, siamo stati visitati in un lontano passato? E se la paleontologia fosse falsa? E se le grandi ossa scoperte dagli scienziati esclusionisti del secolo XIX fossero state riunite arbitrariamente? Resti di esseri giganteschi, visitatori occasionali del nostro pianeta? In fondo, che cosa ci obbliga a credere alla fauna preumana di cui ci parlano I paleontologi che non ne sanno più di noi?
"Benché io sia di natura ottimista e credula, ogni volta che visito il Museo Americano di Storia Naturale, il mio cinismo riprende il sopravvento nella sezione 'Fossili'. Ossa gigantesche, ricostruite in modo da fare dei dinosauri 'verosimili'. Al piano inferiore c'è una ricostruzione del 'Dodo'. È una vera immaginazione, e come tale presentata. Ma costruita con un tale amore, un tale desiderio di convincere..."
"Perché, se siamo stati visitati, non lo siamo più?" Intravedo una risposta semplice e immediatamente accettabile:
"Se lo potessimo, educheremmo, civilizzeremmo maiali, oche, mucche? Saremmo così intelligenti da stabilire relazioni diplomatiche con una gallina che faccia le uova, allo scopo di trarre soddisfazione dal senso della sua compiutezza?
"Io credo che noi siamo dei beni immobili, accessori, bestiame.
"Penso che apparteniamo a qualche cosa. Che nel passato la Terra era una specie di no man's land (terra di nessuno) che altri mondi hanno esplorato, colonizzato, e se la sono disputata fra di loro.
"Attualmente, qualche cosa possiede la Terra e ne ha allontanato tutti i coloni. Niente ci è apparso che provenisse da altrove manifestamente come un Cristoforo Colombo che sbarca a San Salvador o Hudson che risale il fiume che porta il suo nome. Ma quanto alle visite furtive rese al pianeta, ancor molto di recente, quanto ai viaggiatori, emissari provenienti forse da un altro mondo e che ci tengono molto ad evitarci, ne avremo prove convincenti.
"Intraprendendo questo lavoro mi sarà necessario trascurare a mia volta certi aspetti della realtà. Per esempio non vedo come trattare esaurientemente in un sol libro tutti gli usi possibili dell'umanità per un modo diverso di esistenza o anche giustificare la lusinghiera illusione che pretende che noi siamo utili a qualche cosa. Maiali, oche, mucche devono prima di tutto scoprire che li si possiede, poi preoccuparsi di sapere perché li si possiede. Forse siamo utilizzabili, forse si è fatto un accordo tra più parti: qualche cosa ha su di noi diritto legale con la forza, dopo aver pagato, per ottenerlo, l'equivalente di pezzetti di vetro che il nostro proprietario precedente, più primitivo, chiedeva. E questa transazione è conosciuta da molti secoli da alcuni di noi, montoni-guida di un culto o di un ordine segreto, i cui membri, da schiavi di prima classe, ci dirigono secondo le istruzioni ricevute e ci orientano verso la nostra misteriosa funzione.
"Nel passato, molto prima che il possesso legale fosse stato stabilito, gli abitanti di molti universi hanno atterrato sul nostro suolo, vi sono saltati o venuti in volo, su navi o portati dalla deriva, spinti, tirati verso le nostre rive, isolati o anche a gruppi, visitandoci occasionalmente o periodicamente, a scopo di caccia, o di baratto, o di esplorazione, forse anche per riempire i loro harem. Hanno fondato tra di noi le loro colonie, si sono perduti o hanno dovuto ripartire. Popoli civili o primitivi, esseri o cose, forme bianche, nere o gialle."
Non siamo soli, la Terra non è sola, "noi siamo tutti insetti e topi, e soltanto espressioni diverse di un grande formaggio universale" di cui percepiamo molto vagamente le fermentazioni e l'odore. Ci sono altri mondi dietro il nostro, altre vite dietro ciò che chiamiamo la vita. Abolire le parentesi dell'esclusionismo per aprire le ipotesi dell'unità fantastica. E tanto peggio se ci inganniamo, se, per esempio, disegniamo una carta dell'America su cui l'Hudson conducesse direttamente in Siberia; l'essenziale in questo momento di rinascita dello spirito e dei metodi di conoscenza, è che sappiamo fermamente che le carte devono essere disegnate di nuovo, che il mondo non è ciò che noi pensavamo fosse, e che noi stessi dobbiamo divenire, in seno alla nostra propria coscienza, altro da quello che eravamo.
Altri mondi comunicano con la Terra. Vi sono le prove. Quelle che noi crediamo di vedere non sono forse quelle buone. Ma ci sono. Le impronte di ventose sulle montagne: prove? Non si sa. Ma esse sveglieranno la nostra mente che cercherà impronte migliori.
"Quelle impronte mi sembra simbolizzino la comunicazione.
"Ma non mezzi di comunicazione fra abitanti della Terra. Ho l'impressione che una forza esterna abbia impresso simboli sulle rocce del pianeta, e da una grandissima distanza. Non penso che le impronte di ventose siano comunicazioni incise fra differenti abitanti della Terra, perché apparirebbe inconcepibile che gli abitanti della Cina, della Scozia e dell'America abbiano tutti concepito lo stesso sistema. Le impronte di ventose sono segni impressi direttamente sulla roccia e fanno pensare irresistibilmente a ventose. A volte sono circondate da un cerchio, a volte da un semplice semicerchio. Se ne trovano virtualmente dappertutto, in Inghilterra, in Francia, in America, in Algeria, in Caucasia, in Palestina, dappertutto, tranne forse nell'estremo nord. In Cina le scogliere ne sono disseminate, Su una parete vicina al lago di Como c'è un labirinto di tali impronte. In Italia, in Spagna, nelle Indie si trovano in quantità incredibili. Supponiamo che una forza, diciamo analoga alla forza elettrica, possa da lontano segnare le rocce come il selenio può a distanza di centinaia di chilometri essere impressionato dai telefotografi.
"Esploratori sperduti giunti da qualche parte. Si tenta, da qualche parte, di comunicare con essi, e messaggi frenetici piovono a rovesci sul pianeta nella speranza che alcuni si imprimano sulle rocce vicine agli esploratori sperduti. O anche, in qualche parte della Terra c'è una superficie rocciosa di un tipo specialissimo, un ricevitore, una costruzione polare, o una collina scoscesa e conica, sulla quale da secoli vengono a incidersi i messaggi di un altro mondo. Ma qualche volta quei messaggi si perdono e segnano pareti poste a migliaia di chilometri dal ricevitore. Forse le forze dissimulate dietro la storia del pianeta hanno lasciato sulle rocce della Palestina, dell'Inghilterra, della Cina e delle Indie, archivi che un giorno saranno decifrati, o istruzioni male indirizzate al recapito degli ordini esoterici, dei massoni, e dei gesuiti dello spazio."
Nessuna immagine sarà troppo folle, nessuna ipotesi troppo ampia: arieti per abbattere la fortezza. Ci sono macchine volanti, ci sono esploratori nello spazio. E se, passando, prelevassero a scopo di esame qualche organismo vivente di quaggiù?
"Io credo che ci possano prelevare. Forse siamo molto apprezzati dai superghiottoni delle sfere superiori? Mi sento rapito pensando che, dopo tutto, posso essere utile a qualche cosa. Sono sicuro che molte reti sono state tirate nella nostra atmosfera e sono state identificate con trombe di aria o uragani. Credo che ci possano prelevare, ma non lo dico che di passaggio..."
Ecco toccate le profondità dell'inammissibile, mormora con tranquilla soddisfazione il nostro piccolo padre Charles Hoy Fort. Egli si toglie la visiera verde, si sfrega i grossi occhi affaticati, si liscia i baffi da foca e va a vedere in cucina se la buona moglie, Anna, facendo cuocere i fagioli rossi per il desinare, non rischi di dar fuoco alla baracca, ai cartoni, alle schede, al museo della coincidenza, al conservatorio dell'improbabile, al salone degli artisti celesti, all'ufficio degli oggetti caduti, a quella biblioteca degli altri mondi, a quella cattedrale Sant'Altrove, allo scintillante, al favoloso costume di Follia che la Saggezza indossa. Anna, mia cara, spegnete dunque il fornello. Buon appetito, signor Fort.
Per approfondire:
- Charles Fort e la "società di studi fortiani";
- l'articolo "fortiano" da me tradotto "Ufo e Scie Chimiche"
(Attenzione, comprende Prima e Seconda parte!)
(Attenzione, comprende Prima e Seconda parte!)
4 commenti:
Davvero interessante. Un personaggio avanti di secoli.
Di certo il passaggio che più mi ha colpito è
"Io credo che noi siamo dei beni immobili, accessori, bestiame. Penso che apparteniamo a qualche cosa."
Certamente condivisibile...
Caro Cieliaazurri,
ero giunto ad uno stallo, nella scorsa primavera, riguardo alle scie chimiche, --- cosa sono e soprattutto chi le fa --- quando m'imbattei nell'articolo di questo giornalista "fortiano" ( e noto che viene coniato questo aggettivo, ed esiste una società "di studi fortiani", per indicare un punto di vista molto poco "umano" e molto "intermediarista"... un metodo, insomma ) e lo resi pubblico e tradotto in italiano sul Forum di ScieChimiche.org.... ora, solo chi è iscritto al Forum (mi rendo conto adesso) può effettivamente leggerlo --- è il link proprio in coda all'articolo --- ed integra molto la visione generale fortiana che si evince dal cap. del Mattino dei mAGHI e, opportunamente, da un'ulteriore occhiata almeno al Libro dei Dannati (...scaricabile in English).
Dunque lo stallo è finito ed ho iniziato a vede il fenomeno delle SC come forse non-umano, chissà da dove..... chissà da quando.... chissà perché.... verranno dalla Groenlandia o dal centro della Terra Cava? Dalla Luna o da Cape Canaveral? Dai sotterranei del Vaticano forse?
Ecco, lo stallo lo trovavo proprio nel pensare di aver capito di cosa si tratta... e di perdermi così altre possibilità + divergenti.
E lo stallo certamente persiste cmq e non mi pare accenni minimamente a diminuire, di fronte ai noti muri di gomma e tutto il ben organizzato apparato disinformativo, contro il venticello della giusta indignazione di pochi cittadini che pare purtroppo non riescano ad organizzarsi altrettanto bene, al di fuori delle loro "voces clamantes" nel deserto virtuale della rete.
Allora .... ma nei film hollywoodiani fanno vedere che gli schiavi (il bestiame) a volte si organizzano e riescono a trovare la liberta'.... (Galline in Fuga?)
Però in Spartacus, Kirk Douglas e l'esercito di schiavi alla fine viene sconfitto, mi pare...
Di certo l'idea di essere dei beni immobili, bestiame.... porta molto alle teorie di Sitchin, ai Demiurghi Creatori, ed anche alle abductions.....
Fort era infatti un, anzi forse il precursore dell'ufologia, come c'è scritto da qualche parte.
...un "intermediarista"!
Mi piace questa nuova "parola"!
Cari miei i superghiottoni non sono altro che i demoni di biblica memoria che ci insegna la Chiesa, non andatevi a fare tante pippe mentali la verità Cristo già ce l'ha detta tutta 2000 anni or sono
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